Vino tra passato e futuro

11/11/2003

di Rosario Ardilio

intervista a Paolo Meli

scheda 1 : Il Nero d'Avola

scheda 2 : Le strade del Vino


Quando nell'anno 1758 Gaetano Starrabba, principe di Giardinelli, ottenne il permesso dal Re delle due Sicilie di fondare la nuova città di Pachino, non poteva certo prevedere che le terre del suo feudo sarebbero diventate famose in tutto il mondo per i loro prodotti. Da allora infatti gli agricoltori pachinesi sono passati dall'oro bianco, il cotone, a quello nero, non il petrolio ma il mosto, a quello rosso, il pomodoro, che oggi la fa da padrone nel nostro territorio.

La supremazia del pomodorino è oggi indiscussa ma da qualche tempo si avverte un forte segnale di risveglio della produzione di mosto e vino. E questa volta non si tratta più della vecchia produzione saccheggiata dalle più importanti industrie enologiche italiane, da sempre abituate ad acquistare in questa zona grandi quantità di mosti e di vini, quale base indispensabile per aggiungere corpo, colore e personalità alle proprie produzioni, ma di una produzione imbottigliata moderna e raffinata che aspira a conquistare il mercato nazionale ed estero. Ed i frutti si cominciano a vedere:

  • Diploma di Gran Menzione per il vino "Eloro Pachino DOC" Nero d'Avola 2001, all' XI Concorso Enologico Internazionale Vinitaly di Verona 37° Edizione;
  • Medaglia d'Argento alla "Selezione del Sindaco 2003" dell' Associazione Nazionale "Città del Vino"per il "Moscato di Noto Naturale DOC""Baroque" 2002 e per "Eloro Pachino DOC" Nero d'Avola 2001;
  • Premio "Douja D'or" per "Eloro Pachino DOC" Nero d'Avola 2001 della Camera di Commercio Industra, Artigianato ed Agricoltura di ASTI.
Vini ottenuti con le più moderne tecnologie di vinificazione (termovinificazione a temperatura controllata, impianti d'avanguardia), affiancate ai sistemi tradizionali di coltivazione e raccolta delle uve. Il vitigno infatti è quello di sempre il "nero d'Avola", vite ad alberello, con una resa media di 40/50 quintali di uva per ettaro.

cantine del vecchio stabilimento Di Rudinì

Il vino di Pachino infatti, da sempre apprezzato per le sue grandi doti di corpo, colore e complessità di profumi e sapori, di grande carattere, da sempre utilizzato per nobilitare marche celebri di rossi nazionali ed esteri, oggi rinasce a nuova vita, restituendo in bottiglia tutta la sua autentica genuinità.

Storicamente le alterne vicende della produzione vitivinicola nel territorio di Pachino sono legate alla figura e all'opera del Marchese Antonio Starrabba Di Rudinì che, erede dei fondatori di Pachino, si impegnò profondamente sia per bonificare gran parte del territorio ed avviarlo alla coltura della vite che per far nascere una moderna e razionale industria enologica.

Testimonianza attuale del suo impegno è lo stabilimento di contrada “Camporeale”, oggi ridotto ad un rudere ma considerato ai primi del ‘900 uno stabilimento all'avanguardia per la produzione di vino.

Così ce lo descrive Gabriella Calleri in un recente articolo pubblicato sul primo numero di “Kalafarina”, la rivista dell'Associazione Studi Storici e Culturali di Pachino:

“……Si tratta di un vasto edificio formato da tre grandi locali rettangolari contenenti :
- il "palmento" (nucleo originale), trasformato, poi, in "cantina di elaborazione" (tinaia di ponente);
- le vasche per la fermentazione (tinaia centrale);
- il locale per i "filtri";
da due "testate" contenenti:
- la "sala macchine" con gli annessi casotti per i motori, a sud;
- la "sala torchi" e l'officina, a nord.

La struttura muraria è realizzata in pietra arenaria tufacea; il pavimento è formata da lastre di basalto o, semplicemente, da battuto cementizio; la copertura, formata da un manto continuo di canne trasverse e da coppi siciliani, è sostenuta da capriate in legno appoggiate sui muri perimetrali.

Nei sotterranei, scavati nella roccia e dotati di ingressi autonomi, trovano posto le cisterne per la conservazione del mosto, sapientemente posizionate sotto le vasche di fermentazione, in modo da rendere più agevole i trasferimenti del mosto.Esse sono allineate lungo le pareti di un "tunnel" ad "U".

interno dello stabilimento Di Rudinì - 1900

I vari locali dello stabilimento, nonchè le vasche e le cisterne, sono collegate tra di loro da tubazioni e canalette che corrono lungo il pavimento. Tali tubazioni, inoltre, sono collegate con i "vinodotti" esterni che, attraverso gli 800 m. di campagna antistante, portano il mosto a mare per l'esportazione con i velieri.
Inizialmente il mosto veniva trasportato con i fusti tramite carrelli su binari e imbarcato, poi, sulle barche che lo portavano fino ai velieri. Col metodo del "vinodotto", invece, il mosto, una volta sulla costa, continuava la sua corsa fino alle stive dei natanti tramite tubi volanti.”

Il recupero dello stabilimento Di Rudinì, che ha svolto un fondamentale ruolo nella storia economica locale ed è stato testimone del passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali, è stato inserito dall'Amministrazione Comunale in un progetto più generale, denominato “Ecomuseo del Mediterraneo” e facente parte dei P.I.T. A tal proposito bisogna dire che una volta tanto stato le cose si stanno mettendo bene, visto che il progetto di recupero, già finanziato sta per andare in appalto.

erto, lo abbiamo sottolineato in un nostro precedente articolo, è cambiato il clima che circonda la produzione del mosto. La vendemmia non è più un fatto che coinvolge l'intera città, non si sentono più gli aromi ed i profumi diffusi dai mille palmenti sparsi nel territorio e anche dentro la città. Però è anche vero che gli agricoltori non sono più le vittime di un sistema che li vedeva soccombere sotto le imposizioni dei commercianti e dei produttori francesi e del nord-italia, o degli intermediari che si arricchivano sulla loro pelle.


sfilata a Siracusa - anni '40

Ben venga quindi questa ventata di modernità e di razionalizzazione, purchè si sappia mantenere il rigore della tradizione, la memoria storica e sociale.
In questo senso opera infatti il neonato “Consorzio di Tutela dei Vini di Pachino” , nato proprio con la missione di recuperare e rivendicare l'antica tradizione vitivinicola pachinese attraverso il rilancio delle DOC che insistono sul suo territorio: L'Eloro Doc e il Moscato di Noto. Aderiscono oggi a questo consorzio circa l'80% dei produttori locali di nero d'Avola e di Moscato bianco.

Sono già tante le iniziative che il consorzio ha posto in essere, due per tutte:
  • la serata "Calici di Stelle", quest'estate, che ha visto una notevole affluenza di spettatori, con una conferenza sul tema : "come può un grande vino fare grande un intero territorio di produzione", con degustazioni di prdotti tipici pachinesi e ovviamente di vino doc, somministrato dai sommeliers dell'AIS (Associazione Italiana Sommeliers, delegazione di Siracusa).
  • "Le serate di Dioniso", giugno 2003, ben quattordici serate, presso l'antico mercato di Ortigia, dedicate alla degustazione tecnica di pregiate bottiglie vinificate in purezza con il Nero d'Avola e Moscato di Noto; manifestazione, che già nel titolo rimarca la grande tradizione culturale e storica del siracusano, e che è coincisa volutamente con il periodo delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa, rivolta al grande pubblico colto che conosce e apprezza il nostro ricchissimo patrimonio antropologico ed artistico.

Intervista a Paolo Meli

Direttore del Consorzio di
Tutela Vini di Pachino DOC


di Rosario Ardilio

Dopo lunghi anni di silenzio il vino di Pachino è tornato improvvisamente al centro dell'attenzione: ne parlano i sommeliers, le riviste di settore, le trasmissioni televisive. Ma cosa sta succedendo?

uello che sta succedendo in questi mesi a Pachino sarà sotto gli occhi di tutti nei prossimi anni. Siamo al centro di un fortissimo interesse del consumatore verso il Nero d'Avola. La nostra zona, per antica vocazione, è la culla naturale dove questo vitigno da sempre esprime il meglio di sé. Pachino si è trasformata in poco tempo in un enorme laboratorio dal quale presto scaturirà una ingente quantità di vini di pregio in bottiglia. Un frenetico cantiere che attualmente vede impegnate aziende di grandi dimensioni e piccoli produttori locali, cantine sopravvissute alla grande crisi degli anni passati, enologi, esperti, tecnici e professionisti del marketing. Ognuno di loro concorre individualmente, ma tutti inseguono lo stesso obbiettivo: produrre vini rossi di grande pregio, lavorando secondo le più avanzate conoscenze enologiche uve uniche nel loro genere, grazie ad un clima assolutamente unico.

Eppure fino a poco tempo fa eravamo convinti che la stagione del vino fosse definitivamente tramontata per Pachino…

Il mercato cambia e si sposta con una velocità sorprendente. Dieci anni fa il ciliegino di Pachino aveva conquistato l'Italia, ma paradossalmente molti pachinesi sono stati gli ultimi a saperlo. Lo avevano appreso dai giornali e dalle televisioni. Beh, col vino sta succedendo più o meno la stessa cosa. Attorno al vino si è sviluppata una raffinata cultura del bere che sta diventando un fenomeno di massa. Bere vini di qualità è una tendenza di costume che coinvolge sempre più il pubblico, non è più una cosa per pochi addetti ai lavori. Capire il vino significa conoscere la terra da cui proviene e le tradizioni che si porta dietro. Un nuovo tipo di consumatore si è imposto sui mercati: esigente, curioso e colto. E Pachino è destinata a trarre vantaggio da tutto questo, complice lo stesso fattore pedoclimatico che ha già reso celebri altri prodotti della terra, come il pomodoro ed il melone.

 


Paolo Meli



palmento della Masseria Maucini

E' vero che Pachino è stata “colonizzata” da grossi produttori di vino del Nord Italia?

Diciamo che grossi produttori provenienti da varie parti della Sicilia e d'Italia hanno deciso di investire da noi. Le tecniche enologiche oggi danno grande importanza ai vitigni, alle uve e alle zone di produzione, molto più che in passato. Insomma, si è capito che alla base di un vino eccellente stanno anzitutto uve di grande qualità. Quindi oggi la tendenza è di fare il vino là dove naturalmente esso incontra condizioni naturali favorevoli. Come a Pachino.

Ma non c'è il rischio che si apra una nuova stagione di “colonizzazione”? In fondo la storia del vino a Pachino era fatica e sudore per i pachinesi, e ricchezza per i grandi commercianti del Nord Italia…

Dipende da come i pachinesi sapranno gestire questa grande occasione, e come riusciranno a girarla a proprio favore. Intanto una volta il vino veniva dato via: prendeva il largo con le navi, ed era un prodotto semilavorato sottoposto alla speculazione dei commercianti. Oggi vengono dal Nord a fare le aziende sulle nostre campagne, e questa non è sicuramente una differenza trascurabile. Inoltre la tendenza di oggi è quella di vendere ill vino in bottiglia, con ricavi e guadagni ben più interessanti che in passato. Infine, va detto che il mercato del vino è un mercato grandissimo. C'è spazio per tutti, anche per le piccole aziende, purchè impegnate seriamente sul fronte della qualità.

 

Cosa si sta facendo per valorizzare il comparto vitivinicolo?

tiamo ponendo le basi per un lavoro di tutela e promozione. Di tutela, attraverso la creazione del Consorzio di Tutela dei Vini DOC, che nella nostra area sono ben due: l'Eloro DOC e il Moscato di Noto DOC. Il primo è l'erede del tradizionale vino di Pachino, rosso, forte e dal carattere deciso; il secondo è una rarità salvata da estinzione certa grazie ad una coraggiosa operazione di recupero di un vitigno di grandi tradizioni. Di promozione, attraverso la costituzione della Associazione Strade del Vino “Val Di Noto” (presidente Salvatore Arfò), che vede la città di Pachino in prima fila, grazie anche alla determinazione del Sindaco Barone, che questa iniziativa ha personalmente voluto e incoraggiato.

Come mai è stato chiamato proprio Lei a fare il Direttore del Consorzio di Tutela dei Vini di Pachino, visto che la sua professione principale riguarda il marketing pubblicitario?

Se non me l'avessero proposto, non mi sarebbe mai venuto in mente di occuparmi di vino. Qualcuno ha pensato che l'esperienza maturata in oltre dieci anni di promozione del ciliegino e del melone di Pachino potesse fare buon gioco a questo settore emergente. E poi c'era bisogno di un coordinamento esterno, cioè di qualcuno non economicamente coinvolto nella conduzione di questa o dell'altra azienda. In verità continuo a fare il lavoro di sempre, ma più focalizzato su un settore specifico. E' una sfida interessante e piacevole.

Cosa dobbiamo aspettarci per la zona?

Sono certo che sentiremo parlare del vino di Pachino sempre di più. E' una occasione di sviluppo che sarebbe grave perdere. Su questo tipo di treni bisogna salire tutti mentre si è in tempo, se si vuole recuperare parte del “gap” che ci divide dal resto dell'Europa. Mi auguro solo che le contrapposizioni politiche, personali o economiche dei gruppi in gioco non creino pregiudizi tali da compromettere questa opportunità. Sarebbe una sconfitta per tutti i pachinesi, per le generazioni passate che tanto hanno patito per la viticoltura, ma soprattutto per quelle future.

 

SCHEDA: IL NERO D'AVOLA

la coltura del Nero d'Avola ad alberello, tipica delle campagne pachinesi, può essere considerata a tutti gli effetti una sopravvivenza storica dell'immenso patrimonio culturale greco, da tutelare e difendere proprio come si fa con i beni monumentali e paesaggistici della nostra area.
La vite fu infatti introdotta a Siracusa dai greci del periodo miceneo, come testimonia Sofocle nel V secolo a.C.

A differenza degli Etruschi, che coltivavano la vite facendola arrampicare sugli alberi, i greci preferivano la vite a ceppaia bassa. La forma “ad alberello” era infatti la sola conosciuta nel siracusano fino a trent'anni fa.

Nel 1770 Saverio Andolina Nava, storico-naturalista descrive i vini del siracusano come vini di grande finezza, dal profumo di viola e ciliegia-marasca. Tanti altri studiosi hanno testimoniato come la coltivazione del Nero d'Avola sia iniziata proprio nella zona sud-orientale della Sicilia e poi in seguito diffusa in tutta la provincia di Siracusa ed in quella ragusana.

Nel secolo scorso il vino prodotto con il Nero d'Avola ha contributo a sostenere vini francesi e del nord italia; i grandi commercianti francesi, piemontesi e toscani parlavano di Pachino per riferirsi al nero d'Avola, zona dove questa produzione raggiungeva le massime concentrazioni quantitative e qualitative.

A Marzamemi sopravvivono ancora le più belle testimonianze storico-enologiche del recente passato di quest'area: qui è tutto un susseguirsi di vecchie cantine e palmenti, a partire dalla più antica creata dai Di Rudinì, fondatori di Pachino. Da Marzamemi, attraverso enodotti costruiti con materiale argilloso cotto, il vino veniva fatto arrivare per caduta fino al vicino porto “Fossa” dove venivano riempiti i fusti in legno pronti per l'imbarco. I fusti, una volta riempiti, venivano fatti rotolare e successivamente galleggiare sull'acqua, portati sotto i velieri, e poi issati a bordo con gli argani.

Il nero d'Avola è oggi la varietà più interessante dal punto di vista qualitativo tra le varietà a bacca rossa della Sicilia. Da questo vitigno si ottiene un vino di buona gradazione alcolica (da 12,5 a 14), di intenso colore rosso con riflessi viola, buona acidità totale, ottima struttura e dotazione di polifenoli totali che ne favoriscono l'affinamento in legno. E' un vitigno paragonabile per importanza ai grandi vitigni Merlot, Cabernet, Syrah diffusi e conosciuti in tutto il mondo. Il Nero d'Avola è il vitigno utilizzato per la D.OC. Eloro, che geograficamente interessa i comuni di Noto, Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini ed Ispica. Oggi i pochi vigneti sopravvissuti alle grandi crisi del passato recente ed alla riconversione verso la produzione di primaticci possono essere considerati un patrimonio ambientale e antropologico da tutelare e difendere, poichè costituiscono parte integrante della memoria storica e culturale di questo territorio.

 

SCHEDA: LE STRADE DEL VINO

 

La Zona sud di Siracusa si sta attivando per la creazione di una strada del vino in grado di offrire all'utenza turistica una corretta e completa informazione sul territorio circa i vini, le aziende e i punti adibiti alla degustazione dei nostri vini

Si tratta di raccogliere le opportunità offerte dalla legge del 2 agosto 2002, n. 5, che all'art. 1,2 e 3, relativi alle Finalità, così recita: 1. Con la presente legge la Regione siciliana, in armonia con gli obiettivi delle politiche di sviluppo rurale e allo scopo di valorizzare ed incentivare i territori ad alta vocazione vitivinicola di cui alla legge 10 febbraio 1992, n. 164, nonché le attività e le produzioni ivi esistenti attraverso la qualificazione e l'incremento dell'offerta turistica integrata, promuove e disciplina la realizzazione delle strade e delle rotte del vino, in prosieguo denominate "Strade". 2.

Le Strade sono itinerari turistici lungo i quali insistono vigneti, cantine di aziende agricole, enoteche, musei della vite e del vino, centri di informazione e accoglienza, aziende specializzate in produzioni tipiche e di qualità, strutture turistico ricettive, valori naturali, culturali e ambientali. Nell'ambito delle strade e delle rotte del vino la continuità territoriale fra tratti della fascia costiera e fra la costa e le isole minori è assicurata anche mediante l'apposizione del simbolo identificativo della Strada e l'istituzione di centri di informazione e di accoglienza sui mezzi di trasporto marittimi pubblici e privati e nei porti . 3. Le Strade possono comprendere i territori relativi a più di un vino a denominazione di origine controllata e a indicazione geografica tipica.

 

Vuoi vedere il funzionamento del vecchio palmento?

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