grotta Calafarina - camera grande

La grotta di Calafarina
di Rosario Ardilio

Da tempo

“Chiamau li cchiù famusi ‘ncantaturi,
fici ‘ncantari tuttu lu trisoru
di lu so ‘mperu, pi lu gran timuri
di perdiri la verra: c'è tant'oru
na la caverna di Calafarina
d'arricchiri la terra e la marina….”


(da “Liggenda di Calafarina” di Salvatore Nanna, Siracusa, 1930)

Un tesoro nella grotta di Calafarina?

Di certo se ne parla in almeno tre leggende popolari:

  1. Ben Avert, emiro arabo di Noto era caduto in combattimento contro i Normanni. Era il 1086. Caduta la città la vedova ed il figlio dell'emiro con una carovana di 30 persone e cento muli carichi di tesori si avviarono verso Marzamemi per imbarcarsi alla volta dell'Egitto. Prima di salpare la principessa decise di non portare in mare il tesoro, per paura dei pirati e lo fece nascondere nelle viscere della terra, dentro la grotta di Calafarina. Gli schiavi che lo interrarono furono uccisi e le loro anime rimasero a perenne guardia della grotta. Nelle notti di febbraio i loro spiriti invocano il nome di colui che saprà togliere l'incantesimo e li libererà.

grotta di Calafarina - esterno
  1. Al tempo degli arabi si dice esistesse un castello in stile moresco proprio sulla grotta. Maniace, generale bizantino, lo conquistò e vi lasciò la giovane figlia Zoraide affinché vi abitasse, circondata da immensi tesori, tra cui anche le reliquie di Santa Lucia. Maniace nel frattempo aveva sposato Zoe, la vedova dell'imperatore Michele, che però aveva ordito una tresca con il nuovo imperatore Costantino per farlo uccidere. Prima di morire Maniace volle rivedere Zoraide a Calafarina: le insegnò il modo di porre sotto incantesimo tutti i suoi tesori. . Sidnar, figlio del generale arabo un tempo proprietario di Calafarina, si innamorò perdutamente di Zoraide e mosse con i suoi uomini verso la grotta. Nella battaglia perirono sia Sidnar che Zoraide e nessuno riuscì ad impossessarsi dei tesori, protetti dall'incantesimo: prima di morire Zoraide aveva gettò in mare un anello incantato che fu inghiottito da un pesce il quale non muore mai perché si nutre di rari frutti marini. Chi avesse trovato tali frutti e fosse riuscito a catturare il pesce sarebbe diventato il padrone del tesoro di Calafarina.

  1. Il re Varvalonga aveva inviato in Sicilia un certo Cala Farina, suo primo ministro, come viceré. Questi invece di governare si arricchì a spese del popolo ed accumulò i suoi tesori nella grotta. Quando il re lo mandò a chiamare, Cala Farina impose alla figlia di proteggere il tesoro e di uccidersi nel caso in cui non fosse tornato. Cala Farina fu infatti ucciso e quando la figlia vide il colore delle vele delle navi, segno che il padre non era più vivo, si uccise ed il tesoro rimase per sempre “incantesimato”. L'incantesimo sarà sciolto solo se qualcuno sarà in grado di pronunciare le esatte parole che la figlia di Cala Farina disse prima di togliersi la vita.

(leggende tratte dal libro di Corrado Cernigliaro “Portopalo di Capo Passero”, ed. SETIM, Modica 1996).


corridoio interno

camera grande

Ebbene il tesoro di Calafarina esiste davvero. Non quello di Ben Avert o di Zoraide o di Varvalonga. No. E non è posto sotto alcun tipo di incantesimo.

L'incantesimo invece sembra aver colto da tempo immemorabile tutti gli amministratori del comune di Pachino, gli addetti ai lavori della Sovrintendenza ai beni culturali di Siracusa, gli stessi abitanti di Pachino. Si, perché l'importanza di Calafarina, della vicina grotta Corruggi e della limitrofa valle dei Cugni, fu sancita, non con i toni coloriti della leggenda ma con il rigore scientifico della ricerca, da eminenti studiosi e ricercatori come Paolo Orsi e Luigi Bernabò Brea.

Corruggi, Calafarina e Cugni infatti potrebbero infatti con una spesa limitata costituire un unico parco archeologico opportunamente organizzato con percorsi, pannelli informativi e punti di ritrovo. Sarebbe un passo importante per colmare quella impressionante lacuna, quel vuoto incolmabile nella memoria di una città che abbiamo già denunciato a proposito delle tradizioni della vendemmia o della tonnara di Marzamemi.

A dire il vero proprio in questi ultimi mesi si sono avvertiti alcuni segnali di “risveglio” dall'incantesimo. Due fondamentalmente:

•  La redazione di due progetti nell'ambito dei cosiddetti P.I.T. (Progetti Integrati Territoriali), uno riguardante il restauro e la rifunzionalizzazione della cosiddetta zona dell'archeologia industriale vicino Marzamemi (ex magazzini di Rudinì), l'altro riguardante il riordino della fascia costiera da Marzamemi alla zona appunto di Calafarina. Quest'ultimo progetto dovrebbe comprendere anche l'istituzione del parco archeologico.

•  La nascita dell'Associazione Studi Storici e Culturali, ad opera di un gruppo di giovani e volenterosi appassionati, con conseguente pubblicazione di una rivista specializzata dal significativo titolo di “Calafarina”.

 

Che l'incantesimo si stia sciogliendo?

 


Paolo Orsi

un pipistrello

camera grande - pipistrelli

E' una grotta di origine carsica ossia scavata dalla furia delle acque. Fu studiata dal celebre archeologo sen. Paolo Orsi all'inizio del secolo scorso. Abitata in periodo neolitico da un gruppo poco numeroso è più recente della vicina grotta Corruggi, ove invece, sempre Paolo Orsi, trovò reperti risalenti all'ultimo periodo paleolitico ed al mesolitico. E' oggi abitata da una colonia di pipistrelli molto numerosa. Paolo Orsi vi trovò:
Macinello in basalto – III millennio a.C.
Frammento di vaso con ansa a gomito – 2^ metà del III millennio a.C.

Frammenti di vaso con decorazioni incise a crudo XV – XIII sec. a.C.
Pignatella – 2^ metà del III millennio a.C.
Anse a piastra bicornute – stile Thapsos XV – XIII sec. a.C.
Fuseruole discoidali biconiche Punteruoli in osso – III millennio a.C.
Frammento con ansa a gomito e decorazione dipinta in bruno su fondo rosso 2^ metà del III millennio a.C.
Lame di ossidiana importata da Lipari – III millennio a.C.
Coltelli in selce – III millennio a.C.
Frammenti di vaso con decorazione incisa a crudo in stile Thapsos – XV – XIII sec. a.C.



Estratto da Paolo Orsi – Bollettino di Paletnologia Italiana ,
serie IV, Tomo III, Anno XXXIII, Luigi Battei, Parma, 1907, pagg. 7-22:

“Circa un chilometro a mezzogiorno di Marzamemi, in una terrazza rocciosa insensibilmente degradante a mare, e da esso non guari discosta, si apre la bocca verticale della celebre grotta di Cala Farina, da tempo famosa ….. La grotta consta di un camerone centrale o principale con due recessi, e contorni di seni e sporgenze. Si accedeva un tempo al camerone per una specie di angusto lucernaio impetrale, poi allargato a colpi di mine; donde una massa di blocchi, taluni di grandi dimensioni, sovrapposti ad altri caduti “ab immemorabili…… …..Dal camerone centrale si staccano, in direzione diametralmente opposta, due gallerie; una duplice bocca in direzione Sud-Est è completamente ostruita dalla frana, e mi si disse conducesse a mare. Un'altra invece ancora libera corre in direzione Nord-Ovest….. …..il suo andamento è un po' tortuoso; dopo circa 10 metri si sprofonda in una camera di circa m. 17x8, dove raccolsi cocci e pezzi di anfore di età classica. La galleria prosegue di qui sempre in discesa ed angusta, in direzione Nord-Ovest, per una cinquantina di metri, dopo di che arriva in una specie di rotonda di m. 30x20, che calcolai si trovasse a m. 25 dal piano di campagna. Qui finisce la grotta, che da sud-Est a Nord-Ovest ha uno sviluppo lineare di quasi un centinaio di metri;……”

 

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